San Fermin!
Ovvero come siamo riusciti a non farci ammazzare dai tori, ma nemmeno a vederli.
La festa di San Fermin è un evento che si tiene a Pamplona dal 6 al 14 luglio, nota ai più per l'encierro, cioè la celebre corsa in cui una massa di persone scappano da una decina di tori per le strade del centro cittadino. Usanza barbara? Tradizione? Non lo so, non mi sono fatto un'idea. Fatto sta che ci siamo recati in loco forti dell'idea di sentirci "testimoni della storia", tipo una versione da videocassetta Stardust di Hemingway o dei Luca Sardella un po' più fichi.
La settimana di festeggiamenti inizia il 6 luglio a mezzogiorno, quando nella piazza del municipio prendono il via le celebrazioni con il lancio del chupinazo, o txupinazo, come lo chiamano i baschi. Questo razzo, che annuncia ufficialmente l'inizio della festa, viene lanciato da una persona scelta dagli abitanti di Pamplona, solitamente un rappresentante di un'associazione locale.
Tuttavia, ci siamo persi questo momento perché eravamo occupati a svuotare il serbatoio della merda del nostro camper in un'area apposita per lo scarico. Pessimo inizio.
Nota: il camper è un incubo.
Terminate le operazioni, indossiamo la tipica divisa della festa: pantaloni bianchi, maglietta bianca e bandana rossa al collo. A un primo colpo d'occhio sembriamo quattro pizzaioli scappati da un evento Cosplay in chiave campana, ma appena ci rendiamo conto che centinaia di migliaia di persone condividono il nostro outfit, ci sentiamo subito acriticamente parte di qualcosa. Non sappiamo bene di cosa, ma la figata della divisa è proprio questa.
L'aria che si respira è di festa. E grazie al cazzo, penserete. Sì, ma quando dico festa, intendo veramente festa. Si respira un'aria di sana amoralità, in cui il bere collettivo (e molto) è parte di questa liturgia. I toni sono accesi, il livello dei decibel è alto e l'euforia è tangibile; ma quello che si nota da subito, rispetto al concetto di festa a cui siamo abituati in Italia, è che tutto questo è vissuto con grande serenità. Per capirci meglio, non ho mai avvertito, neanche per un secondo, la sensazione di sentirmi in pericolo o che il pericolo fossi io. D'altronde se metti insieme centinaia di migliaia di persone annaffiate da ettolitri di alcol, sarebbe anche normale incappare in risse, vandalismi o momenti di tensione. Invece niente, solo persone chiassose e felici. In definitiva non ho avvertito quella sensazione da camera magmatica pronta a degenerare da un momento all'altro.
Un altro elemento che colpisce subito è il forte legame con la cultura socialista e il profondo senso di appartenenza alla causa basca. Bandiere, striscioni e manifesti ribadiscono ovunque lo stesso concetto: qui non sei in Spagna, qui non sei in Francia, qui sei in Navarra, qui siamo baschi. Tuttavia, come ho già detto, tutto questo avviene senza ostilità o acrimonia. Pensate, ad esempio, a Pontida o ai raduni degli Alpini, situazioni che ti fanno rivalutare in chiave positiva le teorie lombrosiane, e capirete meglio ciò che intendo.
Si urina, si urina tanto e ovunque. L'odore acre dell'urina è un leitmotiv olfattivo che accompagna la città per tutta la settimana dei festeggiamenti. Eppure, il comune ha installato qualche bagno qua e là, ma con un atteggiamento del tipo: "Metto qualche bagno perché è doveroso, ma poi fate un po' come vi pare." Ovunque ti giri vedi uomini con l'uccello in mano e donne accovacciate che, senza alcuna vergogna, espellono le proprie deiezioni liquide continuando a bere e chiacchierare.
Per noi questo non è un problema e subito ci adeguiamo all'usanza.
Tra locali sempre aperti, birre a un euro e musica e balli in ogni angolo della città, lo scorrere del tempo prende una piega relativa: arrivi la mattina, dopo un paio d'ore è già notte. Ovviamente non lo sai, ma sei ubriaco come un orango. Ti senti felice, parte di questo cuore pulsante, ti senti invincibile. Sono le tre di notte e, poche ore dopo, alle sei e mezza, devi trovarti un posto decente per assistere alla corsa dei tori delle otto. Decidiamo di riposare un paio d'ore nel camper per essere di nuovo in grinta. Col cazzo. Ci svegliamo praticamente a corsa finita. Abbiamo perso sia l'inaugurazione che l'encierro. Mi prende uno sconforto apocalittico, misto a senso di colpa e a una sottile voglia di morire. Ma è in questo momento che scopro che la corsa dei tori non è un evento unico, ma si ripete TUTTE le mattine di quella settimana.
Siamo ancora vivi. Avremmo dovuto passare un'altra giornata intera a Pamplona, riberci tutte le birre e, con un briciolo di disciplina, avremmo finalmente assistito a quella stronzata.
Tra diarree, acidità gastriche, mialgie diffuse e con delle facce degne del peggior dipinto di Pollock, ripetiamo tutta la liturgia pomeridiana e notturna. Stavolta, ci ritiriamo a un'ora decente e alle sette meno un quarto siamo finalmente appostati su una curva dove, di lì a poco, si sarebbe consumata l'agognata tragedia.
Qualche rullo di tamburo, il crepitio di un paio di petardi e le strade del paese sono invase dal fragore dei corridori e dallo scalpitio dei grossi bovini.
La corsa dura complessivamente solo un paio di minuti e il momento del passaggio presso la nostra postazione si riduce a pochi istanti. Ovviamente non vediamo un cazzo, ma come capita in questi eventi di dissennata collettività, l'importante è esserci: e noi, per Dio, c'eravamo.
Detto ciò riprendiamo il camper, scarichiamo un'altra decina di litri di deiezioni del bagno chimico, andiamo all'aeroporto e ce ne torniamo a casa. Stanchi ma felici.