Il Generale
Primo giorno
Quella notte il Generale non chiuse occhio. E come avrebbe fatto d'altronde? Da lì a poche ore si sarebbe presentato per la sua prima seduta al parlamento europeo. Porca puttana, quanto ci sarebbe stata bene una bella sigaretta, una bella bionda nazionale, col suo sapore caldo e avvolgente che ti entra nei polmoni e poi con dolcezza risale fino alla bocca. Ma no, porca troia, no! Dopo la missione in Afghanistan si era ripromesso che non avrebbe mai più ripreso a fumare; e attenzione, quando il Generale dice "mai più" vuol dire "mai più". Nessuna eccezione, niente di niente, forza di spirito, cazzo duro e poche menate. Insomma, c'è un intero paese che in questo momento dorme sereno anche perché la gente come lui non molla di un millimetro, ama la patria e non si può perdere in queste quisquilie da... da froci! Oddio, ancora quella parola. Eppure i dirigenti del partito erano stati chiari. Gli avevano concesso carta bianca praticamente su tutto, ma ci sono alcune parole che è meglio non dire, si possono pensare, ma non dire. Però senti come suona bene? Froci. Frrrrr.... froci! Il Generale si abbandonò a una fugace risatina prima di tornare serio. Così sia! Si può vivere anche senza quella parola e tutte le numerose derivazioni dialettali, sono i fatti che contano non le parole. Rincuorato da quel pensiero il Generale si riempì i palmi delle sue forti mani di una generosa quantità di Denim dopobarba e cominciò a frizionarsi prima il collo, poi le guance. Si guardò allo specchio: sì, era proprio lui, l'uomo che non deve chiedere mai e porca mignotta se oggi non glielo avrebbe fatto capire a quei mezzi uomini che infestano il parlamento europeo, così studiati e supponenti, così fottutamente genuflessi all'imperante cultura del politicamente corretto. Così, in un impeto di italica mascolinità, il Generale lasciò cadere l'asciugamano annodato intorno alla vita scoprendo tutta la perfezione di quel fisico scolpito, bronzeo e arricchito da una poderosa erezione. Quale pensiero lo aveva attraversato per raggiungere una tale esplosione di virilità? Nessuno. Da quando ne ha memoria il Generale è sempre stato perfettamente in grado di raggiungere una perfetta erezione con la sola forza di volontà o al massimo, ma parliamo di condizioni veramente estreme, sarebbe bastato un fugace pensiero alle chiappone di Claudia Koll in quel film di Tinto Brass (di cui gli sfuggiva sempre il titolo) e il gioco era fatto. Che fica spaziale, che giornata perfetta. E così il Generale era pronto, vestito di tutto punto e carico come una mitragiatrice Beretta MG 42. Un ultimo colpo d'occhio allo specchio, salutino militare e si va!
Secondo giorno
Porca troia, che noia mortale. Non è certo così che il Generale si era prefigurato il suo debutto tra i pezzi da novanta del vecchio continente. Certo non si sarebbe aspettato il tripudio festante da parte di quegli impalpabili tecnocrati, ma nemmeno quella sorta di tetra riunione di condominio fatta di nausabonda retorica, votazioni e lunghe, lunghissime attese. Per un attimo il Generale rimpianse l'Afghanistan, L'Iraq... la Somalia. Ah, la Somalia, quelli sì che erano giorni felici: missioni ad alto rischio, incursioni fuori da ranghi, marlboro mai spente e neg*i dappertutto pronti a farti la pelle. Cazzo, quella parola con la "*", forse la più vietata in assoluto. Sticazzi! Il Generale senza pensarci troppo si spogliò e si buttò sotto la doccia. I pensieri si affastellavano senza soluzione di continuità, ma un'immagine in particolare lo tormentava: Fischer, Ian Fischer, quel flaccido e rubicondo bipede che quel giorno aveva presieduto la seduta al parlamento. La quintessenza archetipata dell'intellettualoide socialdemocratico, calvo come un ginocchio, con quel ventre pieno di krapfen alla crema ed elucubrazioni progressiste. Ci sarebbe da scommettere un centone se quella palla di merda fosse in grado di riuscire a vedersi l'uccello sotto tutto quel grasso addominale. Ovviamente il Generale avrebbe scommesso su un secco "No" e avrebbe vinto il suo centone. Uscito dalla doccia il Generale sembrò rinfrancato e si portò davanti al grande specchio del bagno; forse per le luci calde, forse per il calore sprigionato dall'acqua bollente ma il Generale notò che nonostante fossero passate diverse settimane dall'ultimo sole, la sua abbronzatura non solo era impeccabile, ma pareva addirittura più intensa. Si guardò le spalle, poi il petto, poi i bicipiti, e l'unica cosa che poté pensare fu: "Cazzo, sono ancora un fico." Si passò una mano tra i capelli e sorrise, perché sapeva che era vero, così si slacciò di nuovo l'asciugamano, facendolo cadere sul pavimento. Strano, il suo membro era in semiriposo, non proprio floscio, ma neanche in piena forma. Lo fissò perplesso, poi ripensò alla giornata di merda che aveva passato: stress, cibo di merda, noia mortale. Di certo niente di tutto questo aveva aiutato il suo entusiasmo. Il Generale allora chiuse gli occhi e subito davanti a sé si materializzò quella scena in cui Claudia Koll, stipata sul vagone di un tram, sbatteva il culo in faccia a un prete neg*o che, cedendo alla tentazione, iniziava a toccarle le chiappe e ad appizzargielo da dietro. Puntuale come il rintocco di mezzogiorno il membro del Generale prese la consistenza del marmo e si riempì di vene pulsanti riproducendo i celebri fregi circolari della colonna traiana. Lo squillo del telefono interruppe quel momento di gloria. Era il segretario del partito. -Generale?- Esordì il segretario. -Sono io- Rispose fermo il Generale. -Mi volevo complimentare per il suo primo giorno da europarlamentare e ricordarle che noi del partito abbiamo bisogno di persone come lei. Anzi, al diavolo! L'Italia ha bisogno di persone come lei!-. L'erezione del Generale sembrò rinforzarsi ulteriormente. -domani le ricordo che si voterà per quella legge lì e... sì, devo glielo devo dire: abbiamo ufficialmente la maggioranza dei voti. -Veramente!?-. Il Generale non riuscì a trattenersi e con un gesto netto cinse il suo membro con la mano sinistra. -Abbiamo convinto i popolari, si farà. Ha capito Generale? Si farà!- -Ho capito... sono senza parole, segretario!- -Li rimandiamo tutti a casa, Generale... li rimandiamo a casa quei maledetti ne*ri!- Sì, il segretario aveva detto la parola con la "*" e sul volto del Generale si disegnò una smorfia di piacere mentre una lacrima gli solcò il viso. -A domani, Generale! A domani! -A domani segretario!- Il Generale chiuse la chiamata. -A casa! Li rimandiamo a casa!. Il Generale si fissò allo specchio, alzò romanamente il braccio destro e il suo membro esplose nella più grande eiaculazione mai vista.
Terzo giorno
Dannazione, le nove! Com'era possibile? Il Generale non si era mai svegliato dopo le cinque, mai! Era una macchina, ogni giorno, stesso orario, senza sveglia: giù dal letto, sessanta flessioni, altrettante trazioni e centoventi addominali. Una bomba a mano. Ma perché, proprio in quella giornata così cruciale un tale tradimento da parte della sua proverbiale tempra? Perché, pur cosciente di avere pochissimo tempo per prepararsi e scappare al parlamento, non sentiva pressione alcuna? Cosa gli stava accadendo? E perché era ancora a letto!? Forse la giornata uggiosa, forse il calduccio del piumone... Porca puttana, le dieci e un quarto! Il Generale si buttò giù dal letto in preda al panico. Si era riaddormentato come un finocchio. Neanche il tempo di mettere in ordine le idee che il telefono cellulare iniziò a suonare: era il segretario. Il Generale osservò il display per qualche secondo poi decise di non rispondere, si vestì di tutta fretta e uscì dalla stanza. Il telefono vibrava ancora nella sua tasca quando imboccò l'ingresso principale del parlamento poco prima di essere fermato dalla sicurezza. -Sono il Generale! Devo raggiungere l'aula per la votazione!- Cercò di liquidarli. Ma la sicurezza la trattenne al banco per cinque minuti preziosi prima di verificare la sua identità. Perché non l'avevano riconosciuto? Eppure li aveva incrociati neanche ventiquattro ore prima! Stupidi burocrati mitteleuropei. Raggiunta l'aula del parlamento il Generale si trovò in mezzo a un'incontrollata bagarre. Tutti i colleghi erano in piedi agitando le braccia e inveendo verso la parte opposta. Il Generale si guardò intorno e non riuscì a riconoscere nessuna faccia amica. D'un tratto scorse il segretario che, dall'altra parte del parlamento, brandiva un cartellone con su scritto "È finita la pacchia – the party is over!". Che ci faceva il segretario nella parte opposta del parlamento? Neanche il tempo di mettere insieme le idee che un fricchettone sulla sessantina, corpulento e con una folta barba bianca lo avvicina facendogli notare che era tra le fila dell'estrema sinistra e che aveva quindi sbagliato lato. Il Generale, sconvolto, sfilò in mezzo a quelle forche caudine prima di raggiungere il fronte alleato. -Ma che fine ha fatto, Generale!?- Tuonò il segretario. Il Generale, in preda alla confusione non riuscì a proferire parola. -Ha perso tempo per farsi le lampade!? -Mi scusi, segretario, non sono stato bene.- si difese. -Comunque ringrazi la maggioranza, la legge è passata!- Il segretario distolse lo sguardo e lo congedò con un paterno buffetto sul volto. Nessuno mai aveva osato fargli una cosa simile, un gesto che dichiarava apertamente la sua sottomissione, un'umiliazione pubblica. Il Generale ricacciò in gola un rigurgito amaro e alzando lo sguardo incrociò quello dei suoi colleghi che lo fissavano con scherno. Perché lo guardavano in quel modo? Perché il segretario si era rivolto a lui con tale indisponenza? E soprattutto, che cazzo avrà voluto dire con quella storia delle lampade? Una sensazione di freddo cominciò ad avvolgerlo, poi i brividi e un sinistro formicolio lungo tutti gli arti. Aveva bisogno di sedersi, di riprendersi. Entrò nel bagno degli uomini, si gettò tre abbondanti manciate di acqua fresca in gola e avvertì una fitta al labbro superiore. Si guardò allo specchio e vide che era gonfio, come se fosse stato punto da un insetto. Proprio in quell'istante sentì la porta del bagno aprirsi. Il Generale si voltò e si trovò faccia a faccia con quel mollusco di Ian Fischer. Il crucco lo salutò amichevolente, si avvicinò all'orinatoio, si sbottonò e iniziò a pisciare. Ostentando disinvoltura il Generale si unì a lui, così i due rimasero in silenzio fin quando Fischer, terminate le operazioni, si voltò verso di lui e sorrise affabile. -Nice shirt.- Disse amichevolmente. -Thanks, I bought it in Rome, at a shop on Via del Corso. Do you really like it?- Rispose cordiale il Generale. -Sure. See you, good luck!- E asciugatosi le mani Fischer uscì dalla toilette. Il Generale rimase bloccato davanti all'orinatoio: ma cosa gli era passato per la testa? "I bought it in Rome"?, "Do you really like it"? In quel momento un dubbio agghiacciante si insinuò nella sua mente: pur giurando a sè stesso il contrario, non era così sicuro di non aver lanciato uno sguardo all'uccello del collega. Una sbirciatina fugace, niente di più, ma se così fosse stato e se Fischer l'avesse notato... a quel pensiero seguì un'incontrollata erezione. Il Generale, sotto shock, cominciò a percuotersi all'altezza della patta dei pantaloni, ma niente, l'erezione non dava segni di cedimento. Doveva andarsene prima che qualcuno lo vedesse in quelle condizioni. Corse fuori dal palazzo del parlamento, salì sul primo taxi e ordinò all'autista di portarlo al suo hotel. Alla reception, riuscì solo a dire il numero della sua stanza. Il receptionist lo fissò per un momento, poi, con un certo tentennamento, chiese di vedere un documento. Il Generale, indignato dalla richiesta, dichiarò il suo nome e la sua posizione, ma il receptionist, visibilmente riluttante, chiamò un superiore, e solo dopo aver ricevuto conferma gli consegnò la chiave. Una volta rientrato nella sua stanza il Generale si gettò subito sul minibar, afferrò una mignon di gin e fece per berla. Ma un dolore lancinante al labbro superiore lo fermò, facendolo quasi sobbalzare. Toccandosi, si rese conto che il labbro era cresciuto a dismisura. Appena si guardò allo specchio, vide il suo volto praticamente sfigurato: le labbra erano gonfie e deformate, sembravano aver ricevuto un'iniezione di botox. La pelle del viso era di un olivastro profondo, come se fosse in pieno shock allergico. Persino il suo naso, solitamente affilato e aquilino, era gonfio come quello di un pugile all'ultimo round. Eppure era a digiuno dalla mattina e per quanto lui ne sapesse non aveva alcuna allergia specifica. Qualunque cosa fosse, non è niente che una massiccia dose di cortisone possa risolvere e per fortuna il Generale ne aveva sempre con sé una scorta di emergenza. Prese la siringa, la riempì del medicinale e come un Rambo moderno se la iniettò nella natica sinistra, poi, senza neanche togliersi i vestiti di dosso si buttò a letto e vaffanculo, una bella dormita rimetterà le cose a posto. Dopo un paio d'ore di sonno profondo il Generale aprì gli occhi, riprese immediatamente conoscenza e subito constatò che il volto non gli doleva più. Ottimo inizio. Secondo step, testare l'efficienza del suo membro, nel frattempo tornato a riposo. Saltò i convenevoli, si cacciò una mano nei pantaloni e chiuse gli occhi: Claudia Koll era sempre lì, con il suo sguardo provocante e quelle chiappone perfette, compressa tra decine di persone su un tram in corsa. Ok, qualcosa si muoveva, era il momento di darci dentro. Ecco, a questo punto entrava in scena il prete ne*ro che, eccitato come un cane, si alzava dal suo posto e iniziava ad appizzarglielo. Alla grande, Generale, funzionava tutto alla grande! Ora bisognava solo tornare a concentrarsi sulle chiappone della Koll e andare a fare gol, ma la sua mente non riusciva a non indugiare su quel prete, così giovane, così alto, così... cazzo, Generale! Le chiappe della Koll! Sì, ora le rivedeva, belle carnose, sode mentre quelle mani così grandi, nere e maschie le stringevano tra i polpastrelli; era come se quelle mani le sentisse su di lui in quel momento. Come, cosa!? Che cazzo vuol dire!? Fermi tutti! Il Generale si raddrizzò sul letto e spalancò gli occhi, fece un lungo respiro e nell'esatto istante in cui li richiuse sentì la porta della stanza aprirsi di colpo. In un attimo si ritrovò immobilizzato da due poliziotti che lo amanettarono, minacciandolo che qualsiasi tentativo di reagire avrebbe solo peggiorato la sua situazione. Il Generale cominciò a urlare e a dimenarsi. -Sono il Generale! Chiedete a lui!- disse riferendosi al receptionist che, alle spalle dei poliziotti, annuì come a voler confermare l'accusa. I poliziotti assestarono un pugno alla bocca dello stomaco del Generale e poi gli presero il volto tra le mani. -Where's the general!?- -Io sono il Generale! I am the general! A quella risposta il secondo agente lo colpì nuovamente e gli rinnovò la domanda. Il Generale incredulo provò senza successo a liberarsi dalla presa degli agenti, che lo colpirono una terza e una quarta volta. Il Generale crollò a terra e sopraffatto dal magone cominciò a indicare la giacca poggiata sulla sedia di fronte. -The documents, my documents, look! Sono io il Generale! Uno dei due agenti si avvicinò alla giacca e tirò fuori una carta d'indentità dalla tasca interna, la aprì e poi si avvicinò mostrandola al Generale. -Is this you? -Yes! Sono io! Gli agenti non riuscirono a trattenere una risata, poi si fecero seri un'altra volta e si avvicinarono minacciosi al Generale. -Who are you? Chi sei tu? Where's the general!- chiese uno dei due. -I just say... ve l'ho già detto, sono io il Generale! E voi siete in un mare di guai! You understand!? A quel punto il primo agente afferrò il Generale per le guance, stringendole con forza, e lo costrinse ad alzarsi in piedi di fronte al grande specchio della stanza. -Are you the general!?- Il Generale rimase sconvolto nel vedere la sua immagine riflessa in quello specchio. Non era più lui: i capelli ricci, le labbra carnose, il naso camuso e la pelle... la pelle era nera. Porca troia, il Generale era diventato un ne*ro. . -Quello... quello non sono io!-Rispose sconvolto. A quel punto il poliziotto gli si mise di fronte, sorrise beffardo e gli poggiò una mano sulla spalla. -Tu, in un mare di merda, amico. The party is over, you understand?!- Lo colpì in volto e il Generale perse conoscenza.
Epilogo
Il Generale, ormai perfettamente a suo agio nella sua nuova identità di Youssef M'bila, se ne stava sul ponte della nave, aspettando di raggiungere il paese che l'Unione Europea, grazie a una legge votata con una larga maggioranza di cui lui stesso aveva fatto parte, aveva designato come destinazione per tutti gli immigrati irregolari. Guardandosi alle spalle, mentre il profilo della vecchia Europa svaniva sempre più all'orizzonte, si domandava cosa lo attendesse in questa nuova avventura. Quali incontri, quali culture, quali opportunità? In quel momento si sentì pervaso da un'ondata di energia vitale che mai aveva avvertito prima. Si alzò in piedi e puntando lo sguardo verso sud aprì le braccia respirando a pieni polmoni quell'aria che, miglio dopo miglio, cominciava a impregnarsi di quegli odori così esotici, forti, sensuali. Un profumo che sapeva di casa. E così il Generale rapito da un ritmo ancestrale cominciò a ballare, prima a piccoli passi, poi sempre più freneticamente, fino a raggiungere una trance mistica, esplosiva. Una volta riaperti gli occhi si rese conto che sul ponte era l'unico a vivere quel momento di gioia e incrociò così gli sguardi dei suoi fratelli. Chi dormiva, chi piangeva, chi semplicemente se ne stava lì, in attesa che il fato prendesse ancora una volta le redini della propria esistenza. In quel momento il Generale provò vergogna, finché d'un tratto sentì alle sue spalle il suono di una risata. Era una risata sincera, leggera, solare. Così il Generale si voltò e si trovò di fronte non un semplice ragazzo, ma una divinità tribale dal fisico slanciato dello stesso color dell'ebano. Davanti a tale bellezza il Generale non riuscì a tenere alto lo sguardo e subito chinò il capo, ma il ragazzo, con disarmante tenerezza, gli prese la mano e gli chiese: "Balliamo?". Il Generale alzò lo sguardo e si perse nella profondità dei suoi occhi verdi e balbettando rispose semplicemente: "va bene". Così ballarono fino al tramonto, fecero l'amore e dormirono stretti l'uno nelle braccia dell'altro. Quella notte, così ogni notte per tanti e tanti anni a venire.