Ho bruciato il corano

Ho bruciato il corano


Ero in un taxi a Bristol e il tassista attacca bottone. Da dove vieni? Quartu, Sardinia, the island in the middle of the Mediterranean sea, no not Sicily, the other one. And you, where do you come from? Io vengo da una terra che non esiste più.
Io sono Curdo.

Questa fu la prima volta che parlai con un Curdo. A quanto pare esistono davvero.

Mi racconta la sua storia. Siamo un popolo perseguitato da tutti, la nostra regione d'origine è un altopiano ora diviso tra Turchia, Siria, Iran e Iraq. E siamo perseguitati in Turchia, Siria, Iran e Iraq. Io vengo da un paese lì nelle montagne. I Turchi vennero, bruciarono tutto, alberi, biblioteche, tutto. Provarono a sterminarci ma noi ci riparammo nelle foreste in montagna, dove siamo più al sicuro e più forti. Mandarono un esercito a ucciderci. Noi li uccidemmo tutti. Allora mandarono due eserciti ad ucciderci, e noi ne sterminammo uno e fatto ritirare l'altro. In guerra un musulmano vince sempre, o vince la battaglia o muore e va in paradiso con 72 vergini e un fiume di nettare. A meno che? A meno che non venga ucciso per mano di una donna. Indovina da chi è formato il nostro esercito in montagna? Da sole DONNE! AHAHAHAH (prima volta che dallo specchietto mi guarda dritto negli occhi ridendo, rido con lui con un leggero disagio ma compiaciuto). Tra le montagne a proteggerci abbiamo un esercito di sole donne, le chiamiamo le Lupe. Sono tutte specializzate in fucili da cecchino. Dall'adolescenza siamo tutti abituati alle aggressioni dei turchi, facevano i raid a casa e dovevamo essere sempre pronti. Mio padre insegnò a me e alle mie sorelle a sparare, conosci AK 47? Sì? Molto forte. Poi ho imparato un po' a usare il fucile da cecchino. A casa avevamo un fucile a testa. Mamma al mercato si portava sempre nella borsetta una piccola pistola da passeggio. Per sicurezza. Le donne Curde sono donne forti. La nostra cultura è fortemente matriarcale, le figure religiose e politiche sono sempre o donne o donna e uomo. Questo non è accettato dalla cultura musulmana, non esiste conciliazione.

Thank you Ahmed. Where do you recommend me to eat a good kebab? (HA! Non ho perso il mio talento giornalistico) Vai là, famiglia Curda. Thank you Thank you bye bye.

Questo piccolo episodio successo qualche anno fa, mi è rivenuto in mente leggendo un articolo dello The Spectator, qua sotto tradotto in italiano. Al tempo del mio episodio col tassista, mi son sentito orgoglioso e compiaciuto che la mia scelta di andare a vivere in un paese come la Gran Bretagna perchè paese dei diritti e della libertà personale, fosse confermata dal racconto del Curdo.
Purtroppo qua Hamit Coskun racconta che le cose stanno cambiando.

Mi chiamo Hamit Coskun e sono appena stato condannato per un reato di ordine pubblico aggravato dall’odio religioso.Il mio «crimine»? Aver bruciato una copia del Corano davanti al consolato turco di Londra. Pochi istanti dopo sono stato aggredito da un uomo, in piena vista di tutti. Sono finito in ospedale. Poi sono stato arrestato.
Qualcuno dirà che bruciare libri è un pessimo surrogato di un dibattito ragionato. Io ribatterei che si è trattato di una forma di espressione simbolica e non violenta, pensata per richiamare l’attenzione sul passaggio in corso dal secolarismo del mio Paese d’origine a un regime che abbraccia l’islamismo più duro.
Quel gesto era una protesta politica, e la legge, per come la conoscevo, era dalla mia parte. Le linee guida della Crown Prosecution Service (CPS) chiariscono che la protesta legittima può essere offensiva—e talvolta deve esserlo—per essere efficace. Nello stesso spirito, l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo tutela non solo l’espressione educata ma anche quella che offende, sciocca o disturba. L’espressione politica, soprattutto, dovrebbe godere della massima protezione.
Purtroppo, il giudice ha deciso diversamente. E le argomentazioni usate per condannarmi sollevano inquietanti domande sul possibile ritorno silenzioso delle leggi sulla blasfemia in Gran Bretagna.

La logica capovolta della condanna

Benché l’uomo che mi ha aggredito sia perseguito separatamente, la Corona sostiene che la sua azione dimostri la mia colpevolezza: poiché sono stato aggredito, il mio comportamento non poteva essere pacifico. Con questa logica, «l’ordine pubblico» non dipende più dalla condotta del singolo, ma da quanto offeso o aggredito decide di essere qualcun altro.
Non era l’unica inversione logica. Il pubblico ministero ha insistito che non si trattasse di una protesta politica. Sì, avevo detto alla polizia che protestavo contro il governo del presidente Erdoğan, che ha fatto della Turchia una base per gli islamisti radicali mentre tenta di instaurare un regime di sharia. Sì, avevo scritto sui social che avrei bruciato una copia del Corano davanti al consolato. Sì, in un’intervista avevo dichiarato di criticare un’ideologia politica, non i musulmani come gruppo. Ma per la Corona tutto ciò era soltanto uno scudo conveniente, inventato per mascherare il mio odio verso i musulmani.
Il giudice ha accolto tale tesi, concludendo che le mie azioni erano «motivate almeno in parte dall’odio verso i fedeli di quella religione».
E qui sta il nodo della questione, nonché il pericolo del precedente creato: se ogni protesta contro l’islam è presunta protesta contro i musulmani, se la critica alla dottrina viene ridefinita come odio verso i credenti, lo spazio per una critica lecita di quella religione—o di qualunque religione—svanisce. Il mio caso si è giocato proprio su questa confusione di categorie.
Perché il giudice ha respinto il mio intento dichiarato di criticare l’islam politico, e non tutti i musulmani? Perché ha accettato l’argomento della pubblica accusa secondo cui non avrei gridato abbastanza spesso il nome di Erdoğan mentre il primo dei due aggressori mi colpiva. In quale momento, esattamente, la CPS avrebbe voluto che mi lanciassi in una spiegazione dell’erosione del secolarismo kemalista nella repubblica fondata da Atatürk? Mentre il secondo aggressore mi inseguiva? Mi sputava addosso? O mentre mi prendeva a calci quando ero già a terra?



Perché ero lì


Lasciate allora che dica ora ciò che evidentemente non sono riuscito a dire allora. Lasciate che spieghi cosa mi ha portato su quel marciapiede, cosa avrei voluto dire ai miei aggressori se avessi avuto più tempo e meno adrenalina.
C’è stato un periodo in cui la Turchia era laica. Imperfettamente, certo, ma abbastanza da permettere a famiglie come la mia di vivere con una certa dignità. Mia madre—la cui nonna fu uccisa durante le deportazioni del 1915 nelle province orientali—era armena. Mio padre era curdo. Nessuno dei due era religioso e sono stato cresciuto a pensare liberamente e a mettere in discussione l’autorità. Per un po’, era possibile.
Negli anni ’80 il potere era ancora conteso. L’esercito gettava un’ombra lunga sulla vita pubblica, ma i governi civili erano in carica, i partiti si sfidavano alle urne e il secolarismo kemalista, sebbene spesso usato in modo repressivo, rimaneva il principio organizzatore dello Stato. L’islam era presente, naturalmente—lo è sempre in Turchia—ma restava in gran parte sullo sfondo. Per famiglie laiche come la mia era ancora possibile credere negli ideali fondativi della repubblica.
Da giovane entrai nel Partito del Lavoro Popolare (PLP), una formazione legale di sinistra favorevole alla riforma democratica. Nel 1993 fui arrestato per esserne membro e torturato durante la detenzione. Più di mille persone furono travolte dalla stessa ondata repressiva. Mio fratello, altrettanto impegnato politicamente, fu assassinato nel 1997 per il suo attivismo. Quando nel 2002 uscì finalmente di prigione, continuai a parlare, sebbene ormai fossero sempre meno quelli che avevano il coraggio di farlo. Lasciai il PLP, deluso dal suo rifiuto di opporsi all’islam politico. L’omicidio dello scrittore ateo Turan Dursun e l’assassinio con autobomba del giornalista laico Uğur Mumcu mi avevano già convinto che lo spazio per il dissenso in Turchia si stava rapidamente restringendo.
A metà anni ’90 il Partito del Benessere salì al potere con un programma apertamente islamista e il suo leader, Necmettin Erbakan, fu brevemente primo ministro. L’esercito lo costrinse alle dimissioni nel 1997, ma il movimento non scomparve: si riorganizzò con un nuovo nome—più giovane, più scaltro, più pragmatico. Il protetto di Erbakan, un carismatico sindaco di Istanbul di nome Recep Tayyip Erdoğan, stava già gettando le fondamenta di qualcosa di molto più duraturo. Già prima del trionfo elettorale dell’AKP di Erdoğan nel 2002, il vecchio ordine laico era sotto pressione a causa del crescente conservatorismo religioso radicato nelle province e nelle campagne.
La Turchia in cui ero cresciuto stava scomparendo. L’ascesa di Erdoğan al potere portò con sé una nuova teologia politica. I gruppi islamisti furono tollerati, perfino incoraggiati. Il sistema educativo venne trasformato: scienza ed evoluzione messe da parte, dogma religioso promosso, bambini dirottati verso scuole coraniche e ordini religiosi. Lessi di esponenti di Hamas in visita in Turchia, accolti, protetti, ospitati in edifici governativi. I poliziotti non servivano più la legge, ma la fede. Fui di nuovo fermato e un agente in borghese mi disse che, se fossi tornato in prigione, non ne sarei uscito vivo. C’era qualcosa nel modo in cui mi puntò la pistola alla testa mentre parlava che mi fece credergli.
A quel punto la decisione di chiedere asilo in Gran Bretagna si prese da sola. Perché il Regno Unito? Perché credevo fosse un Paese dove un rifugiato ateo potesse parlare senza paura. Questa convinzione mi portò, il 13 febbraio, davanti ai cancelli del consolato turco.
Se avessi saputo che contestare la propaganda islamista che ha distrutto il Paese in cui sono cresciuto poteva portare a un’incriminazione, forse ci avrei pensato due volte prima di venire in Gran Bretagna. Ma ormai ci sono. E non tacerò.


La posta in gioco


La Free Speech Union ha finanziato la mia difesa e resta pronta a fornire tutto l’aiuto necessario per far annullare questa sentenza. Perché ormai non riguarda più solo me. Si tratta di stabilire se la Gran Bretagna crede ancora che nessuna religione sia al di sopra della critica, soprattutto quando plasma la vita pubblica e il potere politico. Era questo il principio per cui sono stato imprigionato in Turchia, ed è lo stesso che difendevo davanti al consolato turco. Non ho alcuna intenzione di abbandonare questa battaglia.