Sono di destra? No, e meno male che c’è Keir Starmer

Sono di destra? No, e meno male che c’è Keir Starmer

Io odio la sinistra italiana. Dalla coppia woke Schelin-Conte a Rizzo che cerca voti con l'aiuto di Alemanno, provo imbarazzo e rabbia ogni volta che li sento aprir bocca. Vent’anni fa, se mi aveste chiesto di indicare cosa fosse la sinistra italiana, avrei guardato a Prodi, Bertinotti, Veltroni, Occhetto e compagnia, con tutti i loro difetti ma almeno un certo senso di competenza e responsabilità. Oggi per me la parola comunismo rappresenta una teoria economica fallimentare (vedi morti per fame con Stalin, Mao, Pol Pot); e politicamente viene rappresentata dalla nullità di Rizzo e Frantoianni. Di che stiamo a parlare. Noto inoltre come il libero mercato continui a sviluppare benessere. Questi pensieri cosa fanno di me? Un Calendiano? Un centrista?
Ma stigazzi la mia posizione politica. Domanda più importante è: oggi, cosa vuol dire essere di sinistra? cosa è la sinistra?
Vi rispondo: guardate Keir Starmer, guardate al Labour inglese. Con Starmer si torna a ragionare dai principi primi:

Sinistra = aumento del benessere del popolo. Come? Quali sono le priorità che più efficacemente ci fanno raggiungere un aumento del benessere?

Crescita economica, infrastrutture, fonti energetiche affidabili, salari più alti e difesa dei confini.

Elly: Ma sono temi di destra ☹️ che fine hanno fatto l'accoglienza, i diritti, la green economy? La destra si batte... non si imita..!1!!!

Keir: Excuse me Elly, you say Accoglienza, Diritti and Green Economy - sono questi una priority per chi fatica a pagare una bolletta? AH NO?
E ALLORA ELLY..... EVVVATTENE AFFANCULO.


Grazie Keir, sei chiarissimo.

Educazione: Avvocato specializzato ad Oxford in diritti umani - Professione: Magistrato e Consigliere della Regina - Passione: Essere Bono e Irraggiungibile, come Tom Cruise.

KEIR STARMER

Nato nel 2 Settembre 1962 a Londra, Starmer ha frequentato la Reigate Grammar School. Era politicamente attivo da adolescente e si è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Leeds nel 1985, ottenendo successivamente un Bachelor of Civil Law post-laurea presso l’Università di Oxford.
Dopo essere stato ammesso all’Ordine degli Avvocati, Starmer ha esercitato principalmente nel campo della difesa penale, specializzandosi in diritti umani. Ha lavorato come consulente per i diritti umani presso il Northern Ireland Policing Board e ha ottenuto il titolo di Queen’s Counsel nel 2002.
Nei New Year Honours del 2014, all' età di 52 anni, è stato nominato Knight Commander dell’Ordine del Bagno (KCB) per i “servizi resi al diritto e alla giustizia penale”.
Nel 2015 decide di entrare in politica. Ha fatto parte del governo ombra di Jeremy Corbyn come Ministro ombra per la Brexit e, dopo le dimissioni di Corbyn in seguito alla sconfitta del Partito Laburista alle elezioni generali del 2019, Starmer lo ha succeduto vincendo le elezioni per la leadership del partito nel 2020. Come Leader dell’Opposizione, ha spostato il Partito Laburista verso il centro politico e ha posto l’accento sull’eliminazione dell’antisemitismo all’interno del partito.

Sotto la sua guida, il Partito Laburista ottiene una vittoria schiacciante alle elezioni generali del 2024, ponendo fine a quattordici anni di governo del Partito Conservatore.

( Ora, giusto perchè sono uno stronzo, copio e incollo la biografia della Schlein da Wikipedia: "Dopo aver conseguito la maturità al liceo cantonale di Lugano nel 2004 con il massimo dei voti, si trasferisce a Bologna, dove nel marzo 2011 si laurea con il massimo dei voti in giurisprudenza, discutendo una tesi di diritto costituzionale e avendo come relatore il professore Andrea Morrone. Nel 2012 collabora, in qualità di segretaria di produzione, alla realizzazione del documentario Anija - La nave, riguardante l'immigrazione albanese in Italia attraverso il mare Adriatico negli anni '90, vincitore del David di Donatello nel 2013 come miglior documentario.
Nel 2020 Schlein ha dichiarato pubblicamente di essere bisessuale".

AHAHA ma di cosa stiamo a parlare. Ma l'Italia si merita questa classe dirigente?)

Gran Bretagna, la grande vittoria Labour.

La svolta del Labour, sotto la guida di Starmer, non è un semplice maquillage. È il ritorno a un pragmatismo che da noi sembra estinto. Un ritorno ai nostri cari principi primi. Tanto per cominciare, la Gran Bretagna, con i suoi costi energetici mostruosamente alti (tra i più alti al mondo), si è finalmente svegliata dal torpore “woke” che puntava tutto su eolico e solare, dichiarandoli panacee infallibili. La realtà?
Nel breve termine, l’adozione esclusiva e inflessibile delle energie rinnovabili – seppur ben intenzionata – ha determinato l'aumento delle bollette per famiglie e imprese. Prendiamo come esempio il ragionamento per primi principi sull'industria dell'auto: l’Inghilterra, un tempo baluardo nella produzione di macchine, si trova a competere con paesi che producono macchine utilizzando energia molto meno costosa e molto più inquinante come l’India. Quest’ultima, infatti, sfrutta il vantaggio dei costi energetici più bassi, per espandere la propria presenza sul mercato britannico. Di conseguenza, cosa abbiamo ottenuto:
1 - i consumatori inglesi si ritrovano a pagare di più per l’energia,
2 - le industrie inglesi guadagnano di meno,
3 - in India producono più macchine, creando ancor più inquinamento, peggiorando a livello globale la situazione precedente.

Keir: Congratulations! Well done! Very good intentions, pessimi results... Me ricorda tanto Conte e il Superbonus!

Starmer ha combattuto e vinto le lotte interne contro la fazione labour "pro-green". I suoi della “fazione pro-crescita” hanno inanellato vittorie politiche che fino a poco tempo fa sarebbero state bollate come “di destra”.

  • Riforme in materia di pianificazione e infrastrutture: Il governo ha introdotto modifiche per accelerare la realizzazione di importanti progetti infrastrutturali, come centrali nucleari, linee ferroviarie e impianti eolici.
  • Employment Rights Bill: Il governo ha presentato l’Employment Rights Bill 2024, con l’obiettivo di migliorare i diritti dei lavoratori.
  • Cambiamenti nelle politiche sull’immigrazione: L’amministrazione laburista ha modificato le politiche migratorie, cancellando tra l’altro il piano del governo precedente di aumentare la soglia salariale minima per i lavoratori qualificati a 38.700 sterline.
  • Misure per la stabilità economica: Il governo ha introdotto regole di spesa rigorose per garantire la stabilità economica.
  • Skills England: Questa iniziativa è stata lanciata per migliorare la formazione professionale e ridurre la dipendenza da lavoratori esteri.
  • Aumento del salario minimo: Il governo ha introdotto un incremento significativo del salario minimo, fissando l’attuale tasso a 10 sterline l’ora per i lavoratori di 23 anni e oltre.
  • Border Security Command: Il governo ha istituito questa nuova entità per contrastare le bande di trafficanti che facilitano gli attraversamenti illegali di migranti.
  • AIRE and AI UK: Un ritorno ai "tecnici" e all'importanza degli esperti - Il governo ha messo sotto stipendio uno dei maggiori esperti al mondo in ambito di innovazione e AI, Matt Clifford.
  • In politica estera, ha sostenuto l’Ucraina nella guerra contro la Russia e Israele nella guerra tra Israele e Hamas, pur chiedendo un cessate il fuoco in quest’ultimo conflitto.

Il Chancellor of the Exchequer, Rachel Reeves ribadisce che il Regno Unito era una potenza pioniera nel nucleare e che tornerà a esserlo. Di qui l’idea di un nuovo corpo, modellato sul Vaccines Taskforce, per approvare in tempi brevi una generazione di reattori nucleari.

Keir Starmer ha parlato di quanto sia praticamente bandito l'investimento estero all'interno della Gran Bretagna e come le cose debbano cambiare.

Keir Starmer will promise to slash red tape as he hosts investment summit
Unions express concern as PM to say government will ‘rip out the bureaucracy that blocks investment’

Questa Inghilterra di Starmer, ora, sembra affiancarsi a quei movimenti che qualcuno ha definito “Accelerazionisti”, che combattono la burocrazia paralizzante, la pressione lobbistica e lo spauracchio di chi in nome di un’utopia green o woke blocca ogni opera pubblica.

Keir Starmer dimostra come si possa essere di sinistra, ma con una visione di prosperità e libertà economica. Si possono difendere i più deboli, puntando al welfare, però senza rinunciare al principio che se le imprese non crescono, non ci saranno né salari né benessere. Si può parlare di ambiente e di transizione, senza puntare a follie che penalizzano i lavoratori e le famiglie. Giusto ridurre le emissioni, ma non facciamo finta di essere gli unici sul pianeta: l’UK incide per meno dell’1% di CO₂ al mondo, mentre giganti come la Cina costruiscono centrali a carbone senza sosta. Un sano realismo.

Che cosa dovremmo imparare, dunque, da questa svolta del Labour?
Primo: la sinistra deve tornare a combattere per il popolo, non per "vincere le elezioni".
Secondo: la crescita economica non è una parolaccia di destra, ma un obiettivo per dare dignità a tutti.
Terzo: un Paese che non investe in ricerca, infrastrutture e nuove tecnologie è destinato a rimanere al palo.
Quarto: se vuoi regolare tutto per paura di sbagliare, finisci col bloccare anche ciò che potrebbe creare opportunità. Deregolamentazione ed eliminazione della continua partecipazione dello stat nell'economia.

Labour - è questa la sinistra moderna, che non si vergogna di crescere, di investire, di migliorare la vita del popolo anziché fare la guerra ideologica al “nemico di destra”.

Quindi sì, “W Keir Starmer, cacciate la Schlein”.

Addendum

Perché la abbiamo finita con Elly in Italy e con Kamala in the US? Vi lascio con la traduzione di un interessante articolo sulla nascita (con HITLER) e morte (con TRUMP) del movimento woke. Sembra che la politica del ventesimo secolo sia finita questo Gennaio. Ed ora stiamo vivendo in una fase di transizione. Articolo di https://theupheaval.substack.com/p/american-strong-gods

L’inizio di una nuova era: il secondo mandato di Trump e la fine del Lungo Ventesimo Secolo

Le prime settimane del secondo mandato di Donald Trump sono state una vera e propria scossa, quasi una corsa a rotta di collo contro quello che finora è stato l’assetto “fisso” della burocrazia statale a Washington.

È difficile anche solo tentare di seguire il ritmo frenetico con cui la nuova amministrazione sta “smantellando” o riorientando interi settori: si va dall’incredibile (anche solo come provocazione) proposta di “annettere” la Groenlandia, alla chiusura delle frontiere, ai dazi commerciali, fino alla demolizione di enti come l’USAID. Nel mezzo, la cultura politica americana si sta lentamente abituando all’idea che la tradizionale prudenza verso l’uso del potere potrebbe essere messa da parte. E, a ben vedere, questo cambiamento riflette qualcosa di ancora più ampio: la fine di un’epoca storica che si protraeva dal 1945 a oggi, ciò che possiamo chiamare “il Lungo Ventesimo Secolo.”

La parabola del “Lungo Ventesimo Secolo”

Se il periodo tra la Rivoluzione francese (1789) e la Prima guerra mondiale (1914) è stato definito il “Lungo Ottocento”, anche il Novecento ha avuto la sua estensione ben oltre i confini cronologici canonici, con un inizio reale solo dopo la Seconda guerra mondiale e una “coda” che arriva al nuovo millennio. I disastri del 1939-1945 – dal fascismo ai genocidi, fino alla catastrofe della guerra totale – hanno plasmato l’ossessione di preservare la pace a ogni costo. Da qui si è generata la cosiddetta “società aperta”, fondata sull’idea che le “forti identità” (fede, nazione, famiglia, ruoli ben definiti) andassero ridotte ai minimi termini per impedire il ritorno di totalitarismi e violenze.

Questa visione dell’“open society” si è ispirata a intellettuali che hanno associato il patriottismo, le gerarchie morali e le lealtà tradizionali alle radici di ogni nuova possibile deriva fascista. Il principio cardine: “mai più”. Mai più guerre mondiali, mai più campi di sterminio. Un obiettivo sacrosanto, ma che ha portato negli anni a demonizzare qualunque espressione di coesione identitaria o di forte convinzione morale, per paura che fosse un “anticamera di Hitler”.

Società aperta, stato manageriale e liberalismo internazionale

Da queste premesse si sono sviluppati tre grandi pilastri che hanno retto il Lungo Ventesimo Secolo:

1. La progressiva apertura delle società, con l’abolizione di frontiere, confini simbolici e rigidi codici comportamentali. L’idea era che più si aprivano i confini (geografici, culturali, etici), più si allontanava lo spettro del totalitarismo.

2. L’espansione di uno stato manageriale con una burocrazia “permanente” e tecnocratica, volta a prendere decisioni basate su procedure standard, regolamenti e “esperti”. L’obiettivo era depoliticizzare le questioni fondamentali per evitare conflitti tra le masse, ritenute potenzialmente inclini all’autoritarismo.

3. L’ordine internazionale liberale, caratterizzato da istituzioni sovranazionali e regole comuni, sostenute dalla potenza militare ed economica degli Stati Uniti e dall’Europa post-bellica. Un “impero di procedure”, pensato per rendere obsoleta la guerra e diffondere la “società aperta” su scala globale.

Il risultato di queste politiche ha promosso una combinazione di tolleranza, consumismo, relativismo e tecnicismo, il tutto in nome della pace eterna. Ma con il passare dei decenni, “i forti dèi” (identità nazionali, autorità morali, fedi religiose) non sono davvero scomparsi. Semplicemente, sono stati repressi e delegittimati. L’obiettivo di scongiurare un nuovo Hitler ha prodotto una sorta di “neurotica del sospetto”, per cui chiunque metta in discussione l’apertura totale – ad esempio su temi migratori, religiosi o culturali – è automaticamente associato al fascismo.

Il ritorno dei “forti dèi”

Le spinte populiste degli ultimi anni non vanno viste solo come un rigurgito di rabbia popolare contro le élite economiche. Sono anche la manifestazione di un desiderio di ritrovare “qualcosa” a cui appartenere, di riappropriarsi di vincoli e comunità, di confini e identità. La gente vuole votare per un’idea di bene comune, non per la solita gestione “amministrativa” che riduce la politica a un fatto tecnico.

Trump, in questa prospettiva, incarna il “ritorno del politico nella politica”. Non è semplicemente un magnate bizzarro che nega le regole del gioco; rappresenta un moto collettivo che richiede un cambio radicale, anche a costo di apparire “pericoloso” e nettamente opposto ai canoni del dopoguerra. Soprattutto, non condivide l’idea che lo Stato si debba auto-limitare per timore delle pulsioni autoritarie di chiunque. Al contrario, sostiene che “puoi semplicemente fare le cose”, se lo richiede l’interesse nazionale, che diventa la bussola su cui regolare l’azione politica.

Una rivoluzione politica (e archetipica)

Si assiste così a una contrapposizione evidente tra chi richiama costantemente l’incubo fascista (interpretando ogni mossa decisa come potenzialmente dittatoriale) e chi invece vede in questa “nuova energia” un ritorno alla virtù civica, alla forza morale, al desiderio di rischiare per proteggere una comunità definita. Invece di inseguire un ideale di apertura illimitata, il nuovo corso cerca di riscoprire i valori basilari di nazione, religione, onore, coesione sociale.

Certo, questa ventata comporta rischi: i “forti dèi” possono generare conflitti, guerre, autoritarismi. Ma il punto è che la società occidentale sembra ormai incapace di rigenerarsi senza riprendere in mano almeno una parte di questi principi. Continuare a bandirli avrebbe condannato le democrazie a una passività che, nel tempo, le avrebbe fatte implodere.

Conclusioni: oltre il Lungo Ventesimo Secolo

La fine di questo lungo ciclo storico segna l’ingresso in una nuova fase, in cui i vecchi tabù del dopoguerra perdono la loro presa. La potenza americana, per quanto ancora egemone, non è più disposta a spendersi in nome dell’“ordine internazionale liberale”. Ora domina “l’interesse nazionale”, non l’utopia universalista. Le agenzie federali, simbolo del potere manageriale, vengono rimodellate o smantellate. Persino l’atteggiamento verso le alleanze internazionali e il concetto di diritto internazionale si fa più flessibile e utilitaristico.

L’“era di Hitler”, dove la paura di ricadere nell’orrore fermava ogni slancio di forte identità, sembra sul viale del tramonto. Che ciò conduca a un futuro di rinascita o di nuove tensioni globali è ancora da determinare. Ma questa svolta è ormai in moto: l’America – e di riflesso gran parte dell’Occidente – non vuole più essere governata secondo i dettami di una burocrazia tecnocratica e relativista. E così, quello che una volta era considerato un tabù – l’orgoglio nazionale, la religiosità non esitante, la gerarchia dei valori – ritorna come pilastro di una società che cerca nuova forza e identità.

La posta in gioco è alta: o la rinnovata vitalità “forte” aiuterà a unire e a dare stabilità, o vedremo nuovi scontri. In ogni caso, stiamo vivendo la chiusura del Lungo Ventesimo Secolo e l’apertura di un nuovo ciclo, che passa attraverso una politica finalmente “riattivata” ma anche potenzialmente gravida di rischi e di incognite. L’illusione di un mondo in cui i conflitti spariscono grazie alla tecnocrazia e alla neutralizzazione della passione politica sembra essere giunta al capolinea. Adesso tocca vedere se sapremo rinascere con intelligenza, senza ripercorrere gli errori che hanno devastato il Novecento.

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