Servizio civile agricolo, la trovata patriota che offende il lavoro e i giovani
Per gentile concessione de "Il Diario Del Lavoro"
Di questi tempi la fatica più grande è cercare di contenere gli umori e concettualizzare un po’ meglio il pensiero sul fascismo, ma da due anni a questa parte gli assist sono talmente tanti che proprio non ce la si fa: è una tentazione alla quale, a torto o ragione, non si può resistere. E infatti eccoci qui, ci risiamo. Protagonista di questo episodio di “Dio, Patria e Famiglia – La serie” è di nuovo Francesco Lollobrigida, sottotono negli ultimi mesi benché sfiorato di striscio dall’ennesimo scandalo di palazzo, il Sangiuliano gate. Ancora a leccarsi le ferite per la rottura con la sorellina d’Italia, Arianna Meloni, e tirato il fiato per averla scampata bella in questo agosto di fuoco, la sua occasione per dare prova di destrezza è stato il G7 dell’agricoltura andato in scena a Siracusa. Nello specifico, il lancio del servizio civile agricolo. Sperimentale, però. Mettiamo subito sul tavolo i numeri per poi fare un passo indietro.
A partire dal 2 ottobre e fino al 28 novembre, gli enti iscritti all’Albo di Servizio civile universale avranno la possibilità di presentare i propri progetti al fine di reclutare 1.000 ragazzi tra i 18 e i 28 anni (prelevati dai 6.740 che hanno partecipato al bando Servizio civile digitale) che “potranno servire la patria con una attività di valore agricolo” per 507,30 euro mensili/25 ore settimanali. Sì, circa 5 euro l’ora. Ma non prendiamola subito male, perché i giovani che parteciperanno al Servizio civile universale avranno diritto a una riserva del 15% nei concorsi pubblici: per un lavoro retribuito all’ora più o meno come una colazione al bar, in cambio c’è l’orizzonte del posto fisso che si avvicina sempre di più. E poi, chi mangia un cornetto e beve un cappuccino all’ora?
Tornando ai numeri, l’investimento iniziale per lo Scu agricolo è di 7 milioni di euro – se risorse del MASAF o del Servizio Civile, già al lumicino (ci torneremo), ancora tutto da capire. “Sarà un anno a spese dello Stato, che vuole valorizzare questa attività — dice Lollobrigida—. Il servizio civile permette a molti ragazzi di fare esperienza in tanti mondi, in agricoltura mancava questo tipo di propulsione e noi l’abbiamo voluta codificare, creando un asset specifico che permetterà ai giovani di svolgere attività in progetti che verranno disciplinati dal ministero delle Politiche giovanili al quale abbiamo conferito delle risorse”. Certo, comunque già prima di questa uscita è possibile svolgere attività di servizio civile nel Settore F, questo è solo una propulsione. E a chi ha paragonato l’introduzione del SCU agricolo con la proposta leghista di reintroduzione della leva obbligatoria, il ministro delle foreste scrolla le spalle e risponde: “Sono due cose parallele”. Un po’ più tiepido di come disse Lvi: “È l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”, ma sostanzialmente la stessa cosa. Anche perché: “La ricchezza dell’Italia, la stabilità della nazione e l’avvenire di esse sono legate alle sorti e all’avvenire dell’agricoltura italiana” (parole sempre di Lvi, è abbastanza evidente che Lollobrigida non abbia la stessa capacità retorica di mobilitare le masse, al più alzate di sopracciglia). Come premesso, uno ce la mette tutta a non instaurare fantasiose connessioni, ma se poi già il ministero si chiama “della Sovranità alimentare”…
Comunque, dicevamo. Il programma quadro è nato da un protocollo d’intesa firmato lo scorso dicembre da Lollobrigida e Andrea Abodi, il ministro dello Sport e delle Politiche Giovanili, su premesse che parrebbero sottendere la buona fede. Tipo: “I giovani costituiscono una risorsa indispensabile e vitale per il progresso culturale, sociale ed economico del paese”; “i giovani operatori volontari compiono un percorso di crescita e formazione che li arricchisce in termini di conoscenze e competenze e, con il servizio civile universale, hanno l’opportunità di vivere un’esperienza significativa volta a sviluppare un maggior senso civico, una migliore percezione dei valori democratici e un rafforzamento delle proprie competenze”; “in un processo formativo/educativo di tipo non formale, quale è il Servizio civile, il giovane è portato ad essere un cittadino attivo, consapevole dei suoi diritti e cosciente dei suoi doveri verso la collettività, in grado di relazionarsi con le Istituzioni in modo corretto e nel pieno rispetto delle regole democratiche, più orientato nel mondo degli adulti, con maggiori competenze e abilità spendibili in termini di occupabilità”. Quest’ultimo punto, quello delle “abilità spendibili in termini di occupabilità” sembra a sua volta rifarsi allo spettro della sostituzione etnica. In sostanza, formare giovani italiani serve anche a disfarsi della dipendenza dalle migliaia di lavoratori stranieri che ogni anno ci portano i pomodori a tavola. Ma anche, allo stato delle cose, a formare nuovi caporali a loro volta caporalizzati durante uno stage letteralmente sul campo.
Ma no, cosa andiamo a pensare: nel rispetto di quanto previsto dal Piano triennale di programmazione 2023-2025, la sperimentazione del Servizio civile agricolo è ispirata a specifici obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile: porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo (Obiettivo 1); raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile (Obiettivo 2); assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età (Obiettivo 3); rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, resilienti e sostenibili (Obiettivo 11); garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo, anche con riguardo alla riduzione degli sprechi di cibo e delle perdite alimentari lungo l’intera catena agroalimentare (Obiettivo 12); promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico (Obiettivo 13); proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestire sostenibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del terreno, e fermare la perdita di diversità biologica (Obiettivo 15).
Tutto questo i nostri ragazzi – chepperò così diventano adulti – potranno perseguirlo attraverso specifiche azioni che includono: attività di inclusione e assistenza per persone con difficoltà temporanee o permanenti oppure a lavoratori stranieri regolari e soggetti fragili fragili (vedi, tra gli altri, il taglio ai fondi per la disabilità, 350 milioni di euro); servizi di tipo educativo (vedi la consegna della scuola in mano ai privati); conoscenza, promozione e tutela dei prodotti agricoli e alimentari del Made in Italy, della cultura dell’alimentazione, delle tradizioni agricole (su questo coerenza, vedi Salvini che bacia il salame); conoscenza e promozione dei corretti stili di vita alimentari (un po’ meno coerenti, vedi Salvini che sta sempre a mangiare); riduzione dello spreco alimentare e valorizzazione dell’economia circolare; coworking rurale; iniziative di educazione ambientale (vedi tutti i mottetti sull’elettrico e sull’ennesimo rinvio della plastic tax) e alimentare (vedi la sugar tax in versione soft), salvaguardia della biodiversità animale e del territorio (vedi la legge sulla caccia), contrasto ai cambiamenti climatici (ma non era un’invenzione di quattro esaltati?), valorizzazione e conoscenza delle pratiche e della cultura contadina, in particolare nelle aree interne del paese (questo perché “a noi!” la farina di grillo non piace, men che meno la carne sintetica. Ci piace la salsiccia con il pane nero); valorizzazione delle risorse agricole e il riconoscimento del ruolo multifunzionale svolto dalle imprese agricole, in particolare quelle giovanili.
Insomma, il servizio civile agricolo “è un’occasione” per i giovani, insiste Lollobrigida, e badate bene, rivolto ai detrattori: “Non significa lavorare sottopagati, ma trascorrere un anno in cui si può scegliere di frequentare quel mondo, percependo un rimborso spese, come avviene in un sindacato o una biblioteca. La prima cosa da fare per i giovani potenziali agricoltori e pescatori è far capire che queste non sono attività da sfigati. Che non sono l’ultima spiaggia per chi non sa fare altro”. Al di là di “sfigati” (che, Dio ci aiuti, non vorremmo mai più sentir pronunciare questi termini da un nostro rappresentante), come sempre si percepisce una certa confusione. Non sarebbe più comodo per tutti dire le cose come stanno? Che questo arruolamento dei Mille è una marcia non in avanti, ma indietro sui diritti? Che è, sotterraneamente, molto simile a quanto sta accadendo nelle scuole con PCTO e con l’istituzione della filiera formativa tecnologico-professionale?
Insomma, ancora una volta il lavoro è usato come strumento offensivo e a passare male sono ancora una volta i giovani. Benché i numeri parlino di record di occupazione sotto le forche del governo Meloni, è sempre bene ricordare che in Italia circa il 13% degli occupati vive in condizioni di povertà lavorativa, e che sono quasi 3 milioni di persone. E ricordiamolo fino alla nausea, quel bellissimo e vituperato articolo 36 della Costituzione: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.