DROGA
È risaputo che, in linea di massima, le droghe abbiano effetti nocivi sulla nostra salute. Eh vabbè, fin qui nulla di nuovo. Possiamo certamente sottolineare che alcune sostanze classificate come droghe hanno effettivamente scopi terapeutici e sono utilizzate per trattare varie condizioni. Tuttavia, non è su questo che desidero concentrarmi.
Partiamo innanzitutto da una premessa: a mio parere, quando si parla di droga, è assolutamente fuori luogo distinguere tra droghe leggere e droghe pesanti.
Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità: "sono da considerare sostanze stupefacenti tutte quelle sostanze di origine vegetale o sintetica che agendo sul sistema nervoso centrale provocano stati di dipendenza fisica e/o psichica, dando luogo in alcuni casi ad effetti di tolleranza (bisogno di incrementare le dosi con l'avanzare dell'abuso) ed in altri casi a dipendenza a doppio filo e cioè dipendenza dello stesso soggetto da più droghe".
Numerose sono le modalità di classificazione delle droghe. Per esempio, tenendo conto dell'origine, possono essere classificate in naturali o sintetiche, in base però agli effetti farmacologici è possibile distinguerle in:
- droghe deprimenti: oppiacei, barbiturici, tranquillanti;
- droghe stimolanti: cocaina, anfetamina, derivati anfetaminici, caffeina, GHB, smart-drugs, antidepressivi, khat;
- droghe allucinogene: canapa indiana e derivati, LSD, mescalina, ketamina, psilocibina.
Cito poi le parole del prefetto Pietro Soggiu, deceduto nel 2019 (non per abuso di stupefacenti) e considerato il "padre dell'antidroga":
“è necessario sottolineare un aspetto che fa giustizia di alcune superficiali valutazioni circa la pericolosità delle droghe e, quindi, della loro classificazione in ‘leggere’ e ‘pesanti’, che non ha senso e non solo perché in dottrina è inesistente ma perché è ovviamente più corretto fare riferimento agli effetti che le sostanze determinano sull'organismo; in tal caso, va ulteriormente sottolineato che vi possono essere ‘effetti pesanti’ da un uso di droghe cosiddette leggere ed ‘effetti leggeri’ da quello di droghe cosiddette pesanti: tutto infatti è condizionato dalla quantità di sostanza assunta, da come viene ‘acquisita’ dall’organismo (iniettata, fumata, aspirata), dalle condizioni fisiche dell'assuntore e, infine, dal fatto che l’uso sia intenso e ripetitivo o del tutto occasionale”.
Leggendo questo estratto, potrebbe sembrare che la conclusione più logica sia quella di equiparare tutte le droghe e di conseguenza stringere ulteriormente il cappio del proibizionismo. Tuttavia, vorrei utilizzare questo momento di riflessione per esplorare l'opportunità opposta.
Il fallimento del proibizionismo
Storicamente, il proibizionismo si è dimostrato un sistema fallimentare. Evitando di addentrarci nel significato ideologico e politico di questo fenomeno, vorrei invece concentrarmi sull'analisi dei dati che, dopo più di un secolo, possono rivelarsi effettivamente utili.
Il proibizionismo non elimina il consumo: non ho mai conosciuto una persona affetta da dipendenza che sia stata dissuasa dall'acquistare la sostanza solo perché è "illegale". Al contrario, è più probabile che una persona dipendente acquisti droghe in quantità maggiori e di qualità inferiore, aumentando così il rischio di overdose e contribuendo ai profitti del narcotraffico.
Il proibizionismo non aiuta la legalità: inutile credere di vivere in una trasposizione sociale degna dei peggiori fratelli Grimm, l'essere umano sarà sempre alla ricerca di una zona di evasione, di sballo, di fuga. E spesso questo si può ridurre al consumo di sostanze: alcol, cibi processati, ansiolitici, droga. Il proibizionismo impedisce la regolamentazione, il controllo della produzione e della distribuzione di droghe, rendendo difficile garantire la sicurezza pubblica. In altre parole il proibizionismo stimola la proliferazione della criminalità, la ghettizzazione sistematica delle periferie e, ribadiamolo, non ne intacca il consumo.
Il proibizionismo è anti economico: questo perché richiede risorse considerevoli per l'applicazione delle leggi, l'incarcerazione dei trasgressori e la lotta al traffico di droga. Questi costi, al netto di tutto, risultano inefficaci. Il consumo di droghe non cala e il narcotraffico si arricchisce esponenzialmente. Voi come definireste una legge che dopo oltre un secolo non produce alcun risultato, se non un'idiozia?
Lo stigma della dipendenza
Non posso accettare che un sistema democratico, erede dell'Illuminismo e dell'Umanesimo, consideri una persona affetta da dipendenza come un emarginato o, ancor peggio, come un criminale. La tossicodipendenza deriva da un disagio che, è vero, può portare alla violazione di altre leggi. Tuttavia, esiste già un codice penale che prevede il processo e, eventualmente, la condanna per tali crimini.
Al contempo, la droga è accessibile a chiunque, ovunque e in qualsiasi momento della giornata.
De facto: comprala di nascosto, drogati di nascosto, crepa di nascosto. In definitiva, un cittadino affetto da dipendenza viene inizialmente trattato come criminale, successivamente come emarginato e raramente come malato.
Inoltre, va considerato che le sindromi da dipendenza variano da una droga all'altra e il nostro sistema non è adeguatamente equipaggiato per affrontarle tutte.
Da anni si discute su quantità minime consentite, depenalizzazioni, uso personale eccetera eccetera. Le sinistre puntano timidamente ad allargare queste maglie, le destre invece sbattono forte la verga sul tavolo sostenendo la tesi opposta. Per quale motivo? Mi piacerebbe pensare che la questione sia pragmaticamente legata al sovraffollamento delle carceri e alla necessità di non intasare il sistema giudiziario. In realtà il motivo è puramente morale.
La morale
Nella film " Apocalypse Now" di Francis Ford Coppola, il colonnello Kurtz esprimeva così il suo pensiero sull'ipocrisia della guerra: "Noi insegniamo loro a lanciare napalm sulla gente e poi non gli lasciamo scrivere "cazzo" sui loro aerei perché è... osceno.". Questa è la morale. La trita, esasperante, disutile morale. Pertanto, non desidero dilungarmi ulteriormente sul concetto di "giusto" o "sbagliato" come presupposti logici della società. Lo stato dovrebbe essere laico, democratico e amorale (non immorale, precisiamo). Se volessi utilizzare sostanze stupefacenti in maniera legale, senza mettere a rischio la sicurezza di nessuno e con l'unico intento di "sballarmi", dove sarebbe il problema?
Mi sto facendo del male? Sicuro. Ci sono altri modi per divertirsi? Probabile. Ma parafrasando Raz Degan in quel celebre slogan: "sono solo fatti miei". È corretto che lo Stato fornisca informazioni e disincentivi, ma non deve né può in alcun modo impedirmi di divertirmi come ritengo opportuno. Sì, divertirmi, perché in questo contesto che la marijuana curi il glaucoma e l'LSD sia utile nel campo della psicanalisi non me ne frega una minchia. Tutto ciò, naturalmente, segue il vecchio e caro paradigma secondo cui "la mia libertà termina dove inizia quella degli altri", il che significa che non devo commettere reati. Questo principio vale in ogni caso. Ad esempio, se fossi un appassionato della velocità e guidassi in modo spericolato per le strade della città, metterei a rischio la vita degli altri, configurando così un reato.Al contrario, posso fare lo stesso in un circuito appositamente progettato, dove al massimo metto a rischio solo la mia incolumità. La morale potrebbe suggerire che guidare velocemente sia generalmente imprudente, tuttavia è sacrosanto il diritto di farlo, purché avvenga in condizioni legali e sicure.
A questo punto potrebbe sorgere un'altra domanda da un punto di vista morale: perché io, contribuente, devo pagare le tasse affinché la sanità si occupi di persone che "se la sono andata a cercare"?
I dati in possesso dicono che più di un terzo delle malattie che colpiscono la popolazione italiana sono legate a una condotta sbagliata del paziente: alcol, tabacco, alimentazione, vita sedentaria. In altre parole, le persone tendono in generale a farsi del male. Per questo motivo esistono numerose campagne mirate a disincentivare il cittadino dal danneggiarsi. Tuttavia, una volta che ciò accade, lo Stato deve trattarti come tutti gli altri.
Prendendo ad esempio: non c'è differenza di trattamento tra chi ha sviluppato un enfisema polmonare per cause professionali e chi l'ha contratto fumando settecento Nazionali senza filtro al giorno, benché il secondo, di fatto, se la sia andata a cercare. Ma in un sistema civile e degno di questo nome, tra i due pazienti non c'è alcuna differenza di trattamento. Si chiama democrazia.
Per questo, riassumendo, ritengo essenziale una riflessione su questo tema, basata esclusivamente su ragioni razionali, logiche e liberali:
Legalizzare tutte le droghe
Perché scientificamente non esistono droghe leggere e droghe pesanti; esistono solo diversi principi attivi.
Legalizzare, non liberalizzare
Perché una questione così delicata non dovrebbe essere oggetto di mera speculazione economica, ma essere gestita dal sistema pubblico.
Legalizzare perché il mercato sia controllato
Impedire quindi che il fenomeno sia monopolio della criminalità, alleggerendo così l'onere sul sistema di polizia e giustizia.
Legalizzare perché il consumatore sia tutelato
Affinché la somministrazione di sostanze sia controllata e l'eventuale dipendenza curata alla radice.
Legalizzare perché sostenibile economicamente
La legalizzazione genererebbe entrate che andrebbero a discapito del narcotraffico. Queste risorse potrebbero essere investite in programmi di disincentivazione del consumo e in cure per chi soffre di dipendenze da sostanze, riducendo il peso economico già attualmente sostenuto dallo Stato.
Legalizzare perché è una questione di libertà
Il cittadino deve poter essere libero di farsi male come e quando vuole, senza vincoli morali.
Nota a latere del sottoscritto:
Personalmente, non ho mai provato una grande attrazione verso la droga. Al contrario provo un certo fastidio nei confronti della mitizzazione della sostanza, provo grande frustrazione ad avere a che fare con persone alterate che sbiascicano e barcollano, mi spaventa il concetto di dipendenza e l'ultima volta che mi sono fatto una mezza canna ho avuto secchezza delle fauci, formicolii agli arti e angoscia. In altre parole non lo rifarei nemmeno se la vendessero dal pizzicarolo sotto casa. Questo riguarda me, voi fate un po' il cazzo che vi pare. Al massimo eviterò di frequentarvi in quelle circostanze o cercherò di fare leva sulla vostra condizione al fine di sottrarvi beni o denaro.